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martedì 2 ottobre 2012

Cancro, si muore più al cinema che nella vita reale

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VIENNA - Giovani, belli, ricchi, non soffrono ma muoiono sempre. Perlopiù anziani, non ricchi, lancinati dai dolori, ma sopravvivono nel 60 per cento dei casi. Sono i malati di cancro secondo il cinema e come invece sono nella realtà. Dopo peste ed altre epidemie nella letteratura, la tubercolosi nel teatro e nell'opera lirica e la medicina di emergenza in tv - tanto per fare qualche esempio - , è arrivato il momento del cancro nel cinema e le ricerche, qualche anno dopo, scoprono quanto l'arte non rispecchi la realtà.

Proprio il rapporto fra la malattia legata a tumori e la sua rappresentazione cinematografica è l'oggetto dello studio presentato al congresso della Società europea di oncologia medica (Esmo), in corso a Vienna. L'indagine è stata condotta da due italiani che hanno censito 82 film sull'argomento, prodotti dal 1939 (l'anno in cui
è uscito il primo "Dark Victory" dove Bette Davis moriva per un tumore al cervello) al 2012: "Abbiamo rilevato una notevole differenza con la realtà della malattia - ha spiegato uno degli autori dello studio, Giovanni Rosti, dell'ospedale Cà Foncello di Treviso - . Nei film i malati sono più giovani rispetto alla realtà, intorno ai 40-45 anni massimo, appartengono alle classi sociali elevate, hanno tumori poco frequenti o rari, quando vengono dichiarati, ed alla fine muoiono".

Da "Love story" ad "Anonimo veneziano", dove non si sa quale tipo di tumore colpisca Tony Musante, fino al più recente "Gran Torino" dove si mostrano pochi sintomi, ma sufficienti a capire che il protagonista ha un tumore incurabile al polmone, è tutta una serie di storie che raccontano l'annuncio di una morte inevitabile. Al contrario di quanto accade quando il male protagonista è, ad esempio, un infarto: come scoprì una ricerca inglese di qualche anno fa, nei film in questi casi ci si salva molto più che nella realtà.

"Niente spazio, invece, per donne con un tumore alla mammella, dal quale sempre più spesso si guarisce", ha sottolineato l'altro autore dell'indagine, Luciano De Fiore, della Sapienza di Roma - . Eppure negli ultimi anni qualcosa sta cambiando. Ne 'La prima cosa bella' di Virzì, col personaggio di Stefania Sandrelli, compare per la prima volta un hospice oncologico che è quello dove il suo personaggio è in cura".

Secondo i due medici, sarebbe meglio che il cinema trasmettesse un'immagine del tumore meno "strappalacrime" e più vicina alla realtà. E quindi raccontasse fatti di dolore (che solitamente nei film si percepisce ma non si vede, mentre nella realtà abbonda e viene curato poco, specie in Italia); ma anche delle cure sempre meno tossiche, delle più lunghe sopravvivenze e delle sempre più frequenti guarigioni.

L'intenzione ora è di proseguire la ricerca per scoprire come invece viene raccontato il cancro nelle serie tv, con l'obbiettivo di capire meglio l'immaginario collettivo dominante e contribuire a migliorare la comunicazione.

"Oggi - hanno osservato alcuni oncologi  - rispetto al passato i pazienti interagiscono molto di più con i medici e l'avere in testa degli stereotipi sbagliati li può limitare nelle aspettative e nelle richieste da fare al dottore".

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